mercoledì 10 giugno 2020

STEP#18


Heidegger fu la prima grande figura dell’esistenzialismo contemporaneo. Venne influenzato da Husserl, al quale dedicò la sua opera Essere e Tempo.

Per Heidegger la morte per l’uomo non è un termine finale, essa è per l’esserci la possibilità più certa, più incondizionata e insuperabile. Soltanto nel riconoscere la possibilità della morte, l’uomo ritrova il suo essere autentico e comprende veramente se stesso. L’angoscia è la situazione emotiva che accompagna la consapevolezza della morte, essa colloca l’uomo davanti al nulla. L’uomo però non deve avere paura della morte, anche perché fuggire di fronte alla morte fa parte dell’esistenza anonima e inautentica. L’uomo che vive la vita autentica deve scegliere di vivere per la morte, deve essere-per-la-morte. Questo però non vuol dire che l’uomo deve cercarla con il suicidio e non deve essere neanche un’attesa, perché anche l’attesa mira alla realizzazione. La morte è la certezza alla quale non possiamo sottrarci ed è anche la possibilità che rende impossibili le altre possibilità. L’uomo farà le stesse cose che faceva prima, ma con una nuova consapevolezza. Colui che vive la vita autentica non se la prende per cose inutili, perché ha sempre in mente l’atto conclusivo. Questo lo libera dall’angoscia, dalla noia e dall’anonimato, ossia dalla vita inautentica. 
La voce delle coscienza: è l’Esserci che comprende la propria nullità:
  1. Nel fatto che l’uomo pur essendo fondamento di se stesso, grazie al progetto non può essere fondamento del proprio fondamento, ossia del proprio essere.
  2. Nel fatto che l’uomo nel progettare determinata possibilità, ne esclude e ne nega altre. Questo coincide con un senso di colpa che spinge l’uomo a decidere per il nulla.

"Un'analisi approfondita della coscienza la rivela come una chiamata. Il chiamare è un modo del discorso. La chiamata della coscienza ha il carattere del richiamo dell'Esserci al suo più proprio poter essere e ciò nel modo del risveglio al suo più proprio essere-in-colpa [...] Alla chiamata della coscienza corrisponde un sentire possibile. La comprensione del richiamo si rivela come un voler-avere-coscienza [...] Inoltre non dobbiamo dimenticare che il discorso, e quindi anche la chiamata, non implicano necessariamente la comunicazione verbale [...]. Quando l'interpretazione quotidiana parla di una 'voce' della coscienza non intende alludere a una comunicazione verbale che, difatti, non ha luogo; Nello sforzo di aprire, proprio della chiamata, c'è un momento di urto, di brusco risveglio. Chi è chiamato, lo è dalla lontananza."

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