lunedì 4 maggio 2020

STEP#08

Il Carmide è un dialogo platonico giovanile o aporetico, che non porta cioè ad una conclusione certa, ed areteico, cioè incentrato sulla virtù (aretè); in questo caso si concentra sulla temperanza, o saggezza. 
Quest'ultima nel mondo greco era intesa come una condizione di salute dell'intelletto, ma non era da reputarsi una saggezza puramente intellettuale: era, piuttosto, l'avere il pieno controllo di sé stessi e delle proprie passioni, cosa possibile a chiunque.
Il dialogo si svolge tra Socrate, Carmide e Crizia, che riportano ognuno una definizione di saggezza. 

Secondo Crizia la saggezza è conoscere se stessi, una scienza di se stessi.

«Ebbene», disse, «io affermo che colui che realizza cose non buone ma cattive non è assennato, mentre è assennato colui che realizza cose buone ma non cattive: infatti il compimento di cose buone io te la definisco chiaramente assennatezza».
«E certo nulla impedisce che tu abbia forse ragione; tuttavia mi fa meraviglia», dissi io, «il fatto che a tuo parere gli uomini che sono assennati ignorano di essere assennati».
«Ma non lo penso», replicò.
«Poco prima non è stato detto da te che nulla vieta che gli artigiani, anche quando fanno le cose degli altri, siano assennati?» «è stato detto, certo», disse, «ma che vuol dire questo?» «Niente; ma dimmi se secondo te un medico, quando guarisce qualcuno, fa qualcosa di utile sia per se stesso sia per colui che guarisce».
«Sì».
«Colui che agisce così non fa forse il suo dovere?» «Sì».
«E colui che fa il suo dovere non è assennato?» «è assennato, certo».
«Non è allora necessario che il medico sappia quando guarisce in modo utile e quando no? E che ogni artigiano sappia quando può trarre profitto dal lavoro che sta facendo e quando no?» «Forse no».
«A volte», dissi io, «dopo aver agito in modo utile o dannoso, il medico non sa egli stesso in che modo abbia agito; eppure, se ha operato in modo utile, secondo il tuo discorso, ha agito in modo assennato. O non è così che dicevi?»
«Sì».
«Dunque, a quel che sembra, se ha operato in modo utile, agisce assennatamente ed è assennato, ma ignora di se stesso che sia assennato?» «In realtà, o Socrate», ribatté, «questo non potrebbe mai avvenire.
Tuttavia se tu pensi, dalle mie precedenti ammissioni, che è inevitabile che ci si accordi su questo, io preferirei ritirare qualcuna di quelle ammissioni, e non mi vergognerei di dire che non ho detto cose esatte, piuttosto di ammettere che un uomo ignori di se stesso che è assennato. Io, per me, infatti, più o meno affermo che assennatezza è proprio questo, conoscere se stessi e sono d'accordo con colui che ha dedicato a Delfi tale iscrizione.


Penso infatti che questa iscrizione sia posta in modo da rappresentare un saluto del dio a chi entra, in luogo del "Salve", perché questa forma di saluto non è giusta, augurare di star bene, e non bisogna farsi questa esortazione gli uni con gli altri, ma augurarsi dì essere assennati. In questo modo dunque il dio rivolge a coloro che entrano nel santuario un saluto differente da quello che usano gli uomini: con questo pensiero fece la dedica colui che la offrì, a mio parere; e dice, a colui che di volta in volta entra nel tempio, nient'altro che "Sii saggio". Certo, parla in una maniera piuttosto enigmatica, come fa un indovino; e infatti "Conosci te stesso" e "Sii saggio" sono la stessa cosa, come indica l'iscrizione e come sostengo anch'io, ma forse qualcuno potrebbe pensarla diversamente, cosa che appunto, a mio avviso, è capitato a coloro che in seguito dedicarono le iscrizioni "Nulla di troppo" e "Garanzia porta guai". Costoro infatti pensarono che "Conosci te stesso" fosse un consiglio, ma non un saluto rivolto dal dio a coloro che entrano; quindi anche loro, per offrire consigli non meno utili, scrissero e dedicarono queste parole. Il fine per cui io dico tutto questo dunque, o Socrate, è il seguente: ti lascio cadere tutto ciò che ho detto prima - in effetti forse su quei punti avevi più ragione tu in qualcosa, forse invece avevo più ragione io, ma nulla di ciò che dicevamo era chiaro -; ora voglio renderti conto di questo, se non ammetti che assennatezza è conoscere se stessi».

http://www.miti3000.it/mito/biblio/platone/carmide.htm



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